Alessandra Tonizzo

"VISIONI" a Milano

LAMOSTRA. Clelia Adami in trasferta: espone fino al 12 maggio

"VISIONI" A MILANO


Alla Galleria Arcadia volti graffiati eo cchi in fiamme

Uno stile senza marchio, una firma senza timbro:

«Inconscio che si svela senza farsi leggere del tutto»


Alessandra Tonizzo


Il  cielo della notte specchia le sue ombre orbe sui testimoni,sui  superstiti. «Visioni», e fisiognomici dettagli in acciaio,iuta,  ruggine.Dieci anni di sogni le hanno guidato la mano entro spazi gonfi,  ampissimi raggi di gomito, pose stirate. CleliaAdami (Brescia, 1983)  porta tutto a Milano, riadattando lo spazio della Galleria Arcadia fino a  strozzarlo con baconiana esal(t)azione, fino al 12maggio.

«Una  pittura che senza perdere la realtà delmondosi offre liberata dalla  necessità narrativa», spiega Mauro Corradini, curatore della personale;  «emergono il segno e il gesto impulsivo fino al limite di spingersi ad  una soglia per negare le misure, per fare aggallare un’immagine,  caratterizzata dalla forza espansiva della materia stessa, legata forse  all’inconscio. Che si svela senza lasciarsi leggere fino in fondo».

EPPURE le paste metalliche, le etnie del pennello-arma, imparano volti famelicamente familiari.

I  ritratti ad olio (e fusaggine, e smalti, e bitume...) eludono il  riconoscimentominuto, la fedeltà cartilaginea: tramite indecisa  precisione simboleggiano.

Facce date  alle fiamme o spaccate dall'asciuttezzasembrano i ritorni da altrettanti  viaggi, compiuti sopra la rotta di un buio squillante.

TELE  pattinate, tele sparate. Ovunque, l'artista - diplomata a Santa Giulia,  prima al Premio Moretto 2010 - lascia il corpo al sèguito di movenze  solitarie, quasi sempre invisibili (indubbiamente lente, danzanti), per  concentrarsi su occhi bocche fronti rese selvagge da liane di masse  pigmentate.

Strascichi, cancellature,  cordoni sono la sostanza organica che suppura il rinforzo disorganico  sul quale Adami abbandona colore.

LO  SGUARDO dello spettatore sceglie le proprie evocazioni, liberamente.  Così, le «Tre donne»somigliano a unacrescita, mossa tra l'azzurro  infantile, il giallo della maturità, il rosa senile.

L'«Autoritratto blu», gattesco- graffiato, aliena contorni leonini, mischia terra ad acqua, assorbe.

«PICCOLA incisa», il naso di spago, sciacqua nel cartone piastrine.

Il«Toro  morente» disarticolaun'intima Guernica, il passaggio di guerra dopo il  quale la speranza ha occhi dilatati, e nessun fiato più.

Lo  spettro adamico, uguale a unsospettato innocente, lavora nascosto su  superfici estese (ogni centimetro una piccola tela, macchia autonoma,  significante di polivalenze tattili); si distende ricusando tuttavia la  propria presenza, l'ego, a favore della «visione di un universo che  appare vitalissimo, anche se pieno di contrastanti equilibri: una sorta  di non cercato ossimoro».

LO  STILEsenza marchio, la firma senza timbro: la pittrice c'è come può  esserci chi non sa stare altrimenti, di getto, di-sciolta.•



BRESCIAOGGI.  9 maggio 2019